Aprendo il suo «Match retour – Anthropologie de la revanche», suscitato dalla partecipazione al Festivalfilosofia di Modena del 2016, Marc Augé, uno fra i pensatori più significativi dell’antropologia contemporanea, è chiaro: «La compétition sportive est un terrain anthropologique» («la competizione sportiva è un terreno antropologico»). «Événement social» («evento sociale»), lo sport allena corpo e mente ed è molto più di un semplice svago, rappresentando un momento di sviluppo non solo motorio ma anche psicologico, affettivo e relazionale.
«Fatto sociale totale»
Davvero lo sport corrisponde al «fait social total» («fatto sociale totale») indicato dall’antropologo francese Marcel Mauss nel suo «Essai sur le don» («Saggio sul dono», 1923-1924), e definito come fenomeno «où s’expriment à la fois et d’un coup toutes les institutions» («dove tutte le istituzioni [della società] si esprimono contemporaneamente e insieme»). Lo sport è capace di trasmettere paradigmi di comportamento e perfino modelli di vita. «Sport has the power to change the world». «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo», sosteneva Nelson Mandela, aggiungendo: «Esso ha il potere di ispirare, ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione. Ha più potere dei governi nel rompere le barriere razziali. Irride ogni tipo di discriminazione».
«Specchio della vita»
Strumento di integrazione, evento sociale e industria fiorente, in continuo sviluppo, lo sport è «specchio della vita», condensando in sé gli alti e bassi che si intrecciano nella quotidianità. Tutte le sue discipline propongono infinità di storie in cui germogliano successi, cadute, rinascite e riconquiste. A lampi abbaglianti di gloria si succedono tonfi improvvisi e a tracolli fulminei seguono nuove albe ricche di rinnovamento. È l’altalena incessante che appassiona il pubblico, catturandolo con la sua avvincente drammaturgia. Ogni spettacolo non ha una trama prestabilita ma è appeso all’incertezza anche quando il pronostico sembra scontato perché vive delle interpretazioni, sempre nuove e imprevedibili, degli attori in gioco, con cui finisce per identificarsi chi guarda da fuori. Gli spettatori travalicano l’empatia, stabilendo addirittura una fusione emotiva con i propri beniamini di cui diventano «tifosi» (non è certo un caso che questo termine derivi dal sostantivo «tifo», risalente al greco τῦφος, typhos, «febbre con torpore», dal verbo τύφω, typho, «mando fumo», ma pure «incendio», senza dimenticare che τυφώδης, typhodes, significa «delirante»).
Dove si incontra la vittoria
Alle competizioni sportive e ai loro artefici, capaci di ricamare imprese che lasciano impronta profonda, entrando nella memoria collettiva, è dedicata questa sezione di Rivincere, verbo (lo abbiamo spiegato qui) non parente della «revanche» di cui parla Augé nel saggio citato in apertura e, dunque, estraneo a quella rivincita «sempre nefasta e pericolosa [che] privilegia una rappresentazione del passato e una visione del futuro entrambe mitizzate». L’infinito che ci definisce intraprende un’infinita ricerca («quête») orientata all’innalzamento dello spirito, sulle orme della vera vittoria, suscitata dall’emergere (e riemergere) delle potenzialità interiori, dispiegate fino all’autorealizzazione di sé. Non importa l’eventuale rivincita sugli altri (e su di sé) perché al centro dell’interesse ci sono le pulsioni dell’atleta, determinato a superare gli ostacoli, e i suoi «moti dell’anima», indirizzati verso l’«affermazione» necessaria a segnare una traccia indelebile del proprio passaggio, della proprie «res gestae». Non sempre questa «affermazione» combacia con l’alloro, che può anche rivelarsi irraggiungibile: in questo caso la vittoria s’incontra sulla strada che conduce a lei e coincide con il difficile percorso di rinascita dopo l’inevitabile tappa della sconfitta, da cui scaturisce il momento della crisi, intesa (etimologicamente) come «giudizio», «scelta», «decisione» e fondamento indispensabile di rigenerazione e rifioritura.
Educazione etica
L’esigenza di dedicare uno spazio di Rivincere allo sport è sollecitata pure dal bisogno di indagare a fondo il terreno in cui mettono radici i talenti, per scoprire in che modi (e seguendo quali mode) questi vengono coltivati. Ogni disciplina sportiva dovrebbe garantire ai giovani non un semplice addestramento ma quella completa «educazione» che i tedeschi identificano, non a caso, con il termine «Bildung», la cui radice è «Bild», ovvero «immagine», «forma», «modello». È la «formazione» attraverso cui è possibile «costruire» e «figurare» («bilden») un’immagine (appunto «Bild») della vita e del mondo. La «Bildung» accompagna al miglioramento e all’elevazione interiore (che sono proprio il fulcro della ricerca di Rivincere), guidando alla consapevolezza di sé (e del mondo). L’attività formativa non viene dunque subìta (come nel caso del crudo ammaestramento) ma è compiuta da chi, passo dopo passo, la vive, comprendendosi fino in fondo, dando senso e forza alla propria libertà, e realizzandosi pienamente, attraverso l’agire virtuoso sul mondo (e nei confronti del mondo). È l’educazione etica, che dovrebbe essere l’anima pura e vera dello sport, «fatto sociale totale» e, soprattutto, «specchio della vita».