Una ricerca all’infinito…

Il nostro rivincere affonda le radici nel terreno perduto e significa «riconquistare, recuperare, riguadagnare, ritrovare»
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Rivincere è l’infinito che ci definisce, il nostro verbo, intendendo per verbo non solo il predicato nudo e crudo, ma anche la parola capace di trasmettere identità e il pensiero da cui siamo animati. È molto più del «vincere di nuovo» che fa subito rumore all’orecchio, suggerito dall’antenato revincere e dal suo prefisso re- indicante ripetitività (ma in latino voleva pure dire «confutare», «smentire»).

Tutti i significati

«Riconquistare, riguadagnare, recuperare un territorio occupato dal nemico» è la prima accezione riportata per rivincere dal Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, che, scandagliando la nostra tradizione letteraria, dà conto di altri otto significati. E allora scopriamo che rivincere equivale anche a «riguadagnare ciò che si è perduto al gioco», a «superare un avversario durante una discussione con la forza dell’argomentazione», a «far innamorare, sedurre nuovamente un uomo o una donna, vincendone la resistenza (una caratteristica fisica, l’aspetto)», a «superare in intensità un odore rendendolo meno fastidioso o impercettibile ai sensi» e a «reprimere, dominare un impulso, una tendenza del proprio carattere». Nel linguaggio di marina s’incontra la locuzione «rivincere l’acqua», spiegata con questa definizione: «estrarre dalla stiva mediante pompe una quantità d’acqua superiore a quella che penetra nella nave attraverso una falla». Usato intransitivamente, rivincere vale «rifarsi da una sconfitta (militare o morale), ottenendo la vittoria finale».

Dante e la filologia

Fra le nove accezioni riportate dal Grande dizionario della lingua italiana colpisce quella che rimanda al terzo libro del Convivio (capitolo ix, paragrafo 16), in cui Dante racconta come ha risolto il problema agli occhi, affaticati dal lungo periodo trascorso a leggere:

«In tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d’alcuno albore ombrate. E per lunga riposanza in luoghi oscuri e freddi, e con affreddare lo corpo de l’occhio con l’acqua chiara, riuni’ sì la vertù disgregata che tornai nel primo stato de la vista».

L’Enciclopedia Dantesca riporta «riuni’ sì» sotto la voce riunire, che ha valore traslato, spiegando: «Dante dice di “aver ricomposto” insieme gli elementi della capacità visiva che si erano “disgregati”, determinando l’indebolimento del suo spirito visivo». Ma qui si apre una questione filologica perché, come per tutte le altre opere di Dante, anche del Convivio non è sopravvissuto il testo autografo, né una copia a esso equivalente. L’archetipo (cioè il più antico esemplare, distinto dall’originale, da cui discendono tutti i testimoni superstiti di un testo) a cui risale la fitta tradizione manoscritta del Convivio riporta, invece di «riunì sì», «rivinsi» che, dunque, in Dante assume significato figurato di «restituire completa funzionalità a un organo, recuperare l’uso di una facoltà».

Parenti di «regagner», non di «revancher»

Immaginando che comprenda un recupero non solo fisico ma anche morale, questo impiego metaforico di rivincere ben si sposa alla nostra idea del verbo, vicino, così, se non addirittura sovrapponibile, al francese «regagner», ovvero «riguadagnare» (e «ritornare»). Tutt’altra cosa rispetto a «revancher», per «revencher», «vendicare», a sua volta  composto dal prefisso latino re-, con valore intensivo, e da «vencher» per «venger» «vendicare». Senza parentela, dunque, con l’odioso papà di «revanche» (in italiano «revancia»), azione del «rendere pane per focaccia», ricambiando un male ricevuto, da cui è derivato «revanchisme» («revanscismo») movimento ideo­logico animato da spirito di rivalsa, diffusosi in Francia nel 1870, dopo la sconfitta con la Prussia e la perdita dell’Alsazia e della Lorena, e termine impiegato, in generale, per indicare una «tendenza  politica impron­tata a sentimenti di frustrazione nazionalistica e a desiderio di rivincita militare di un paese che ha subito una sconfitta bellica contro lo Stato o gli Stati vincitori» (Grande dizionario della lingua italiana, volume 15, pagina 966).

La rivincita «sempre nefasta e pericolosa»

Il nostro rivincere non è «rivendicazione» o «rivalsa», non si specchia nell’ossessione di un passato mitico, perduto, né si riflette sull’ideale mitizzazione di un futuro da preparare per regolare i conti. Non è ritorsione sull’altro ma semmai ricostruzione di sé. Il nostro rivincere è ricerca non rivincita. Tantomeno non è la rivincita di cui, nel suo fondamentale Match retour Anthropologie de la revanche (pubblicato in italiano nel 2016 da Consorzio per il festivalfilosofia e, con altri cinque scritti, da Payot & Rivages nel 2019), scrive così l’antropologo Marc Augé:

«Toujours néfaste et périlleuse, elle privilégie une représentation du passé et une vision de l’avenir qu’elle mythifie toutes deux. Quand les hommes admettront qu’il n’y a aucune revanche à prendre, mais une vie à vivre, sans doute pourront-ils essayer d’être heureux».

«Sempre nefasta e pericolosa, [la revanche] privilegia una rappresentazione del passato e una visione del futuro entrambe mitizzate. Quando gli uomini ammetteranno che non c’è nessuna rivincita da prendere, ma una vita da vivere, potranno senza dubbio cercare di essere felici».

Una ricerca all’infinito

Come detto più sopra, il nostro rivincere non è tormentato dal passato né assillato dal futuro e non è sorretto da ripicca o dal desiderio di compensazione. Il nostro rivincere non è revanche ma quête, quella ricerca che ci fa sentire pienamente vivi e che costituisce la parte sempre viva di ogni mortale. Rivincere non nasce dalla competitività, non insegue il successo a ogni costo e non è orientato (o perlomeno non lo è principalmente) al significato citato in apertura: «vincere di nuovo». Al contrario, il nostro rivincere affonda le radici nel terreno perduto e significa «riconquistare, recuperare, riguadagnare, ritrovare». Il nostro rivincere che, come abbiamo già ribadito qui, si incarna nell’icona della Nike di Samotracia, inaffondabile davanti al vento e alla tempesta, è necessità di resistere e opporsi a tranelli della vita. Rivincere passa attraverso la sconfitta, tappa per tutti spesso obbligata, affronta la crisi (intesa innanzitutto etimologicamente come «giudizio», «scelta» e «decisione») e intraprende all’infinito (come il modo del nostro verbo) quella ricerca (la già citata «quête») che innalza lo spirito, facendolo decollare verso la vera vittoria, suscitata dall’emergere (e riemergere) delle potenzialità interiori, dispiegate fino all’autorealizzazione di sé.

Filippo Brusa

Giornalista professionista, autore e conduttore televisivo, applico il giornalismo come strumento per comprendere il mondo, lotto contro l’ipocrisia del politicamente corretto, contro la banalità del luogo comune e contro il «pensiero unico».

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